Alla Scoperta del Pollino
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Parco Nazionale del Gran Sasso pt.1

10/7/2023

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(Già al pensiero della prossima volta)

Ci organizziamo qualche giorno prima con una praticità ed una concretezza che già anticipano la nostra volontà di voler visitare e camminare sui sentieri del Gran Sasso, con una prima meta chiara, definita e imprescindibile: la Vetta Occidentale del Corno Grande.

Arriviamo nel tardo pomeriggio ad Assergi dove prendiamo possesso della stanza e abbiamo modo di fare una piccola passeggiata nella frazione un tempo fortificata. Osserviamo i danni del terremoto del 2009: ancora tanto è da ricostruire, sono passati 14 anni. Con un po' di pensieri ci organizziamo per la cena e rientriamo in struttura. Domenico si mette ai fornelli e i risultati si concretizzano in un ottimo e abbondante piatto di pasta, pietanza giusta per fornire le energie del giorno dopo.

L'emozione per la giornata successiva è tanta e per sicurezza controlliamo nuovamente la cartina ripetendo le tappe e i codici dei sentieri da intraprendere, "Non si sa mai" afferma qualcuno. La distanza dell'itinerario effettivamente, per le nostre abitudini è poca, ma è il tratto finale quello che probabilmente potrebbe rappresentare la difficoltà più grande, oltre che il fondo. Sentieri rocciosi che si discostano abbastanza dai sentieri del Pollino di casa. 

Tra le tante emozioni c'è anche quella tensione che compare prima dei momenti più importanti che ognuno di noi deve affrontare, quella vocina che inizia a dire in testa "oh, stavolta non puoi sbagliare". Quella che serve per non essere troppo sicuri e mantenere anche il giusto approccio. I presupposti per riuscire ci sono tutti, ma è sempre la montagna che alla fine decide.

Praticamente andiamo a letto intorno alle 21.00 e all'inizio si fa anche un po' fatica a prendere sonno, ma la sveglia del giorno dopo ci aspetta alle 6.00; un'ultima controllata allo zaino e poi si prova a dormire.

E' giorno. Sveglia, colazione abbondante e si parte. Si entra in macchina ed inizia la prima parte dell'avvicinamento in auto: da Assergi fino a Campo Imperatore. Dopo gli ultimi alberi inizia lo spazio sconfinato dell'altopiano che, con la luce dell'alba diventa qualcosa di indescrivibile. Già solo questa vista dà una carica maggiore al nostro spirito. Io osservo quegli spazi sterminati attraversati da una strada che sembra anch'essa infinita, e i miei pensieri si fermano; ho solo la capacità di osservare e sorridere. Una leggera nebbia copre i pianori sottostanti e un paio di soste per le foto sono d'obbligo; così come una sosta diventa immediata appena dopo l'ennesima curva, dopo la quale appare davanti ai nostri occhi il grande complesso roccioso del Gran Sasso, un blocco di roccia impressionante, un grande dente che dal terreno si staglia verso l'alto fino a quasi 3.000 m di quota. Si rimarrebbe lì senza pensare ai minuti che passano, ma un paio di auto che sfrecciano per raggiungere il punto di partenza nei pressi dell'Osservatorio di Campo Imperatore ci ricordano che dobbiamo avviarci anche noi, il resto lo ammireremo in cammino. 
Foto
Scesi dall'auto un bel vento freddo ci rammenta che siamo già oltre i 2.000 metri (che strano!). Ci adattiamo alle condizioni, e dopo un veloce check partiamo: si inizia! Ci auguriamo una buona escursione e di procedere "puliti puliti" o "chiano chiano", scherzando tra di noi come per dire "senza farci prendere dalla foga di arrivare in vetta, godiamocela". 

Si sale imboccando il sentiero N.101 che manteniamo fino a Sella di Monte Aquila a 2.335 m risalendo un primo tratto non molto difficoltoso che permette di avere di fronte a noi il Corno Grande, a destra Monte Aquila 2.495 e a sinistra il Campo Pericoli, una grande conca circondata da altre cime, che è collegata fino alla Val Maone che prosegue fino a Prati di Tivo, esattamente dalla parte opposta rispetto al nostro punto di partenza. Il paesaggio è quello delle praterie di alta quota e delle grandi rupi di roccia. Non è un panorama a cui siamo abituati e io personalmente ammiro angolo dopo angolo questo nuovo "pezzo di mondo". 

Proseguiamo e al bivio pieghiamo a sinistra, sul sentiero N.103 per poi superare l'incrocio con il ritrovato N.101 verso il Rifugio Garibaldi, e il Campo Pericoli, tenendo la destra e risalendo a 2.482 sul brecciolino che conduce alla Sella del Brecciaio. Qui un gran regalo compare davanti ai miei occhi: un bellissimo e vicinissimo esemplare di Camoscio appenninico mi attraversa il sentiero. Subito avviso Marco e Domenico facendo gesti strani per evitare di parlare e spaventarlo, ma il camoscio viste le persone dietro di me decide di tornare indietro e scomparire tra le rocce. Una volta su con gli altri, decidiamo di fare una pausa, e proprio in quel momento ecco ricomparire il camoscio che riprova a fare lo stesso esatto giro, trovando ancora una volta noi sul suo passo. Mi siedo su una roccia e a tratti alterni, inizio a fotografarlo e a godermi lo spettacolo tra una foto e l'altra; ad un certo punto sembra quasi venire verso di me per poi "pentirsi" del gesto e ritornare a scomparire nel dirupo che invece noi ci lasciamo alle spalle risalendo, ignorando l'incrocio con il sentiero N.150 (la Via Ferrata Brizio).

Scavallato il nuovo dislivello ci troviamo di fronte a sinistra il bellissimo Corno Piccolo, e a destra il sentiero che prosegue verso la nostra meta. Dopo poco si presenta l'opportunità di deviare sul sentiero N.154A, quello della cosiddetta Cresta Ovest, ma rimaniamo fermi quando qualcuno di noi dice "Eh no, la prima volta dobbiamo farlo dalla Normale, poi facciamo il resto!". Ci convinciamo di questo e proseguiamo lungo il sentiero fino al nuovo bivio, piegando verso destra sul Sentiero N.154 appunto tramite la Via Normale. E a me tanto "normale" non sembra abituato alle "normali" delle nostre cime. Alzando lo sguardo osservo la fila degli escursionisti che ad un tratto prosegue praticamente in linea retta, verticalmente verso l'alto. Dallo sviluppo del sentiero avevo notato una risalita importante delle curve di livello, ma non mi aspettavo certo in quel modo. Bene, faremo anche questa penso tra me, mentre guardo gli altri che intanto tra una battuta e l'altra diventano come me, sempre più emozionati per la vicinanza con la cima. 

L'ultimo tratto è diverso dal "camminare" su un sentiero: è meglio usare le mani (per molti è praticamente obbligatorio a meno che non si possiede tonicità, forza ed equilibrio da veri e propri fuoriclasse alpinistici), si deve fare più attenzione a dove poggiare i piedi, e lo sforzo fisico è più completo. Ma è tutto meraviglioso. Man mano che si sale la pendenza cresce e di pari passo il panorama. Salendo, roccia dopo roccia, ed escursionista dopo escursionista (ce ne sono diversi essendo sabato)
sbuchiamo fuori di fronte il Ghiacciaio del Calderone, la Vetta Orientale 2.903 m e la Vetta Centrale 2.893 m due stupendi denti di roccia.

Ormai ci siamo. Ci guardiamo soddisfatti, aggiriamo gli ultimi residui del crinale ed ecco apparire la Croce di Vetta e gli ultimi bolli bianchi e rossi che hanno contraddistinto questo ultimo tratto di percorso su roccia. Siamo su. Lo sguardo si estende in tutte le direzioni e si vedono montagne, paesi, colline, fino alle nuvole lontane dove c'è il mare. Tocco la cima, come di rito. Osservo intorno e penso che non potevo non raggiungere quel luogo almeno una volta. Mi godo gli attimi e dopodiché ci complimentiamo l'un l'altro prima di attendere il nostro turno per la foto di rito, e al contrario di tutti gli altri "ancorati" alla cima, ci spostiamo su un settore adiacente molto più comodo dove consumare il nostro pranzo; sono circa le 11.10 del mattino del 7 ottobre 2023 e siamo sul tetto dell'Appennino, Corno Grande, Cima Occidentale 2.912 m di quota.

Rimaniamo quasi un'ora nella meraviglie lassù. A malincuore come sempre ci avviamo per il rientro. Il percorso è il medesimo al contrario, almeno fino alla Sella di Monte Aquila. Lungo il tragitto di rientro riusciamo ad ammirare meglio con il cambio di luce il Corno Piccolo e un branco di camosci che pascola sotto di noi. 

Arrivati alla Sella decidiamo di procedere sul sentiero N.161 passare dalla cima di Pizzo Confalonieri 2.422 m e ristorarci presso il Rifugio Duca degli Abruzzi a 2388 m, costruito nel 1908 dalla Sezione del Club Alpino Italiano di Roma. Il vento che ci ha accompagnato per buona parte del percorso tranne che sull'ultimo tratto della cima ritorna mentre ci riposiamo seduti ad uno dei tavolini all'esterno con veduta panoramica verso sud. 

Terminiamo l'ultimo tratto scendendo e raggiungendo l'auto nel parcheggio dell'Hotel di Campo Imperatore. Ce l'abbiamo fatta. Assonnati più che stanchi, e felici mentre rientriamo, iniziamo ad osservare il Corno Grande da lontano consapevoli di essere stati lì sulla cima. 

Ad escursione terminata certamente penso abbia una difficoltà importante, ma che non è tanto nella combinazione lunghezza/dislivello quanto più nella capacità di sapersi muovere su roccia nell'ultimo tratto in particolare. I panorami sono fantastici e si vive un'atmosfera che ti permette di percepire la grandezza e la vastità della montagna appenninica. La prossima è già segnata: direttissima al Corno Grande. ​
Rientriamo ad Assergi e ci organizziamo per la meritata cena. Prima di andare decidiamo che il giorno dopo percorreremo l'anello da Campo Imperatore per Pizzo Cefalone.

La cena ci attende, e tra le pietanze per tutti e tre ovviamente compaiono gli arrosticini. Non mangiarli equivarrebbe a non essere stati sul Corno Grande! Una volta finita la cena al ristorante "Al Borgo", con un buon rapporto qualità-prezzo, ritorniamo alla struttura e andiamo a dormire con la stessa sveglia per il giorno dopo.

La sveglia è nuovamente alle 6.00, anche se questa volta ce la prendiamo un pò più comoda, avendo visto il percorso essere poco più di 8 Km e anche in questo caso con un maggiore dislivello nell'ultimo chilometro. 

Arriviamo sempre in prossimità dell'Osservatorio e ci incamminiamo sul sentiero 100E fino a Passo del Lupo a 2.156 m di quota. Questa volta, seppur mantenendoci in leggera salita, intraprendendo il sentiero 102, la nostra sinistra è molto più esposta e tale rimarra praticamente fin poco sotto la cima di Pizzo Cefalone. Arriviamo fino al Passo della Portella a 2.260 m mentre osserviamo dalla parte opposta rispetto al giorno precedente, il maestoso Corno Grande e tutta l'area sottostante: uno spettacolo assoluto. L'itinerario cambia ancora mantenendo la sinistra sul sentiero 111 e tralasciando la nuova deviazione a destra. Proseguiamo passando sotto l'anticima, per poi iniziare la salita: inizialmente abbastanza marcata, fino a mettere da parte i bastoncini e proseguire con l'uso di mani e piedi in qualche semplice passaggio di arrampicata fino ad arrivare alle due croci della cima di Pizzo Cefalone 2.533 m, con un ultimo tratto molto divertente e leggermente più tecnico del resto del percorso. Un'altra cima da cui osservare una serie di panorami meravigliosi, con questa volta a Nord-Est il Corno Piccolo e il Corno Grande a fare da sfondo.

Proviamo il rientro dal sentiero 147 per compiere un anello, ma dopo i primi cento metri o poco più, ci rendiamo conto che la discesa è un po' più complessa del previsto e decidiamo di ritornare dallo stesso itinerario dell'andata. Altro percorso da fare al nostro ritorno sarà Pizzo Cefalone con l'anello in senso antiorario. 

Rientriamo così ripercorrendo a ritroso il percorso. E prima un camoscio che osserviamo leggero e sicuro saltare e correre via dalla presenza degli escursionisti tra dirupi e ghiaioni, e poi un bel branco a riposo sotto il crinale del rientro, sono gli ultimi regali di questi due giorni del Gran Sasso. Gli occhi pieni e lo spirito sicuramente rinfrancato da montagna e natura incontrastata. 

Si, alla fine altro giro di arrosticini per tutti!

In mente già i prossimi itinerari nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.
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Il giorno delle cinque vette

8/7/2023

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"Domani, sarà il giorno delle 5 vette. 
Mi ero ripromesso di non farlo. Di andare ad intuito e non controllare ma alla fine, la curiosità è stata più forte di me. Non tanto la lunghezza quanto il dislivello fa un po' paura soprattutto per via delle mie ginocchia.
Vedremo quel che succederà. Ho deciso che manterrò un passo non veloce, ma la testa e la volontà più salda possibile
".
Pensieri di un escursionista del Pollino

Il giorno è arrivato. Chi si aspetta un racconto avventuroso e pieno di peripezie e gesta eroiche, può subito terminare qui la lettura perché qui non c'è nulla di tutto ciò. E' un semplice racconto di una giornata che sicuramente merita di essere ricordata meglio di quanto la mia memoria, senza le parole qui scritte, possa fare da sola.

Sveglia alle 4.50, rifinitura dello zaino, prima colazione veloce e partenza per il punto di incontro con il mio compagno d'avventura, Antonio De Marco (che ha scattato tra l'altro le foto che utilizzerò in questo resoconto). Prima di partire alla volta di Colle Impiso facciamo una seconda colazione, tanto per integrare zuccheri.
Arriviamo al parcheggio. Zaino in spalla; sono le 5.30 del mattino, con l'alba appena all'inizio. La temperatura è bassa, e dobbiamo subito abbigliarci nel modo giusto. Prendo anche la torcia che per il primo seppur breve tratto, sarà utile alla nostra progressione. All'imbocco del primo tratto di sentiero dico solo "In bocca al lupo"; dopodiché si parte per davvero.
La prima parte si fa subito sentire. Saliamo protetti dalla faggeta, ma nei primi pochi punti aperti, la cosa che inizia ad essere più fastidiosa è il forte vento che soffia da nord. Ciò non crea problemi nel bosco, dove possiamo anche prendere fiato per qualche secondo prima di ripartire, ma una volta nell'ultimo tratto di sentiero, praticamente sul crinale, mi è impossibile fermare il passo per evitare di raffreddarmi completamente. Quindi dopo aver deciso cosa tenere indosso e cosa no, e aver sistemato la torica, decido di procedere con continuità senza bloccarmi mai e controllare sempre alle mie spalle la progressione di Antonio. Per qualche attimo inizio a pensare che con quel vento il nostro obiettivo di giornata non sarà possibile; intanto però questa prima cima almeno, va raggiunta.
Alle 6.38 siamo sulla vetta di Serra del Prete e ai suoi 2.180 m, con la luce mattutina che ancora non ha raggiunto tutto il mondo che da lassù si vede. Il vento rimane forte, quindi ci diamo un bel cinque, scattiamo qualche foto e riprendiamo l'itinerario discendendo rapidi verso Piano Gaudolino. Ci riprendiamo velocemente dal freddo e per fortuna il vento inizia anche a smettere di accompagnarci.
Questo ci conforta, e quindi procediamo per la seconda meta.
La nuova risalita è più costante e soprattutto senza la presenza del vento. Ci godiamo man mano che saliamo la luce che cambia dentro la faggeta e arrivati alla dolina lo spettacolo che come sempre da lì si apre allo sguardo. Questa volta, con qualche pausa, e senza troppa fatica arriviamo su Monte Pollino e ai suoi 2.248 m alle 8.37 dove, al contrario di tutto il tratto poco prima dell'ultima dolina, il vento ricompare. Per fortuna possiamo sfruttare le pietre sistemate a riparo poco distanti dal pilone della cima. 
Recuperiamo un po' fermandoci una decina di minuti e mangiando uno snack. Effettuo un primo cambio maglia e dopodiché ripartiamo per la terza meta. L'umore inizia a cambiare definitivamente: le cime da raggiungere sono diventate quasi la metà, il passo viene mantenuto molto meglio, il vento non è assolutamente fastidioso come su Serra del Prete. Tre buoni motivi per decidere, senza pensarci troppo, di continuare. Discendiamo dalla cresta Est di Monte Pollino fino a raggiungere il Valico del Malvento, e parte così il mio terzo "In bocca al lupo" della giornata.
Alle 10.14 siamo sulla cima del Dolcedorme, 2.267 m, la cima più alta dell'Appennino meridionale e di tutto il Sud Italia; la terza della nostra giornata. Un altro bel cinque scatta all'arrivo di Antonio. Ora sono ancora più convinto di potercela fare. Le mie gambe stanno reggendo alla grande, almeno questa è la sensazione, e anche Antonio va senza problemi nonostante sia meno allenato di me. Qui facciamo un'altra pausa ristoro prima di riprendere la nostra marcia.
Foto
​Rimane solo un passaggio che mi impensierisce, non tanto per la difficoltà tecnica quanto per l'aspetto fisico e psicologico: la discesa dal Varco del Malvento fino ai Piani e la risalita quasi frontale subito successiva, fino alla base dei gradoni di Serra delle Ciavole. Al momento decido di non pensarci, la giornata sembra quella giusta. E infatti una volta giù eccoci risalire e incrociare il sentiero che risale alla sella tra la Cima Sud e la Cima Nord arrivando proprio alla metà tra le due. Ovviamente deviamo direttamente verso la Cima Nord, che dopo il suo bell'ultimo tratto tra rocce e loricati ci permette di giungere alla quarta cima: alle ore 12.47 siamo sulla cima di Serra delle Ciavole, 2.130 m. 

Qui su sorrido e osservo i rilievi di fronte a me pensando che, fino a qualche ora prima, ero proprio lì che passavo da uno all'altro chiedendomi se ce l'avrei fatta. Mentre mi guardo intorno facciamo un'altra quindicina di minuti di pausa, ma ormai c'è, forse presuntuosa, la consapevolezza di riuscire.

Indico l'ultima cima che rimane alla lista, e parte il quinto e ultimo "In bocca al lupo". Ripartiamo. In quest'ultimo tratto mi lascio prendere da un ritmo più serrato, per un misto di irrequietezza di concludere e voglia di festeggiare la riuscita del nostro sforzo. Superiamo la Piana di Pollino, salutiamo (e non potevamo non farlo) il Pino della Grande Porta e risaliamo Serretta della Porticella. Da lì la breve discesa prima della risalita fino alla cima di Serra Crispo, 2.053 m che raggiungiamo alle 14.05 terminando il tocco delle cinque cime. Una volta arrivato sorrido e scuoto il capo in attesa dell'arrivo di Antonio. Tocco la cima, e mi guardo e riguardo intorno prima di distendermi su una grande roccia piatta subito dietro l'omino della vetta e pensare a quello che abbiamo concluso per ora, tenendo sempre a mente il ritorno che rimane da fare. 

All'arrivo di Antonio festeggiamo, ma sono consapevole che la versa soddisfazione ci sarà poi alla macchina, e ogni volta che ripenserò alla giornata. Consumiamo il nostro pasto, meritato come non mai e dopo una buona mezz'ora di relax ci avviamo sulla strada del ritorno. Arrivato poco sopra i Gendarmi, guardando i crinali di tutte e cinque le cime mi chiedo tra me "Ma davvero ho fatto tutto il giro?". Sembra strano, sembra difficile, sembra complesso, ma per come percepisco il mio corpo sono in ottimo, ottimissimo stato. Prego le ginocchia di reggere fino al rientro, quasi più per scaramanzia che per altro. 
Arriviamo a Colle Impiso alle 16.30 in pratica 11 ore dopo la nostra partenza. Sto bene, sono stanco ma non ho dolori o acciacchi. Mi guardo con il mio compagno d'avventura, e ci complimentiamo di nuovo l'uno con l'altro, in realtà in parte ancora increduli. E' andata. Sto bene. Già penso a quello che potrei fare dopo. Poi mi fermo. Ora è il momento di pensare a quanto fatto e godersi la soddisfazione della giornata appena vissuta.

​Grazie Pollino, grazie ginocchia!
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Anello di Monte La Mula

10/2/2022

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Un'escursione in solitaria verso una delle cime del Massiccio dell'Orsomarso.

Un percorso tra radure e boschi immensi di faggio, per poter raggiungere uno dei pianori più affascinanti del Parco, il Campo, e poi la cima di Monte La Mula con il suo panorama unico che regala prima la vista sull'isola di Cirella e poi, una volta arrivati lì su, tutta la Catena del Pollino, fino all'altro mare, lo Ionio e il versante sud fino alla Sila.

Ho potuto ammirare il panorama intorno a me per diverso tempo, fino a convincermi ad iniziare la discesa. Superato quello che è indicato come circo glaciale, ho proseguito discendendo lungo il crinale percorrendo tratturi quasi scomparsi. Dopo gli ultimi campanacci delle vacche dietro di me il bosco mi ha avvolto nuovamente. Così fitto e così denso permette il passaggio di poca luce, e l'ambiente che si viene a creare è davvero fiabesco. 

Più avanti, superato Piano di Zazzera, un nome che è tutto un programma, ho incontrato dei faggi dalle forme contorte che meriterebbero un servizio fotografico molto migliore di quello che io gli ho dedicato in questi scatti.

Ho immaginato quel luogo con la nebbia, e con meno luce di quella della giornata che mi ha accompagnato, risultato: già in lista tra i luoghi in cui ritornare. Mi sono chiesto se anche questo sito non meriti la candidatura tra le faggete UNESCO. 

Ho proseguito con un doppio saliscendi fino a raggiungere le pendici di Cozzo del Pellegrino che davanti a me già inizia ad avere i toni che l'autunno porta in dono, ricollegandomi così al sentiero principale e tornando all'auto, conscio di aver concluso un'altra stupenda giornata. 
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I sentieri delle Valli

5/13/2021

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Due sopralluoghi a poca distanza tra loro, lungo itinerari che hanno come protagonisti assoluti due fiumi.

Due corsi d'acqua estremamente vicini in linea d'aria, che hanno però destinazioni praticamente opposte: il Fiume Argentino, affluente del Lao che sfocia nel Mar Tirreno; e il Fiume Esaro, tributario del Coscile, a sua volta affluente del Crati che sfocia invece nel Mar Ionio.

Opposte direzioni ma panorami e ambienti straordinari per entrambi. La Valle del Fiume Argentino è un territorio che regala suggestioni di natura integra ed estesa mista a ritrovamenti di moderna presenza dell'uomo, che nonostante sembri impossibile ha, nel tempo, sfruttato anche i rigogliosi e verdi boschi della valle perfino nei luoghi più impervi. La Valle dell'Esaro invece, fu passaggio prescelto per la definizione del primo tracciamento del Sentiero Italia che permette di immergersi tra rocce levigate dall'acqua, addentrandosi in un ambiente sempre più lontano dal mondo civile per raggiungere all'improvviso una località dove l'uomo resiste tenacemente ed è ancora presente coltivando piccoli lembi di terra.

In entrambi questi luoghi, quando si raggiunge circa la metà del percorso, si può percepire a pieno la vastità degli ambienti naturali che il Parco Nazionale del Pollino protegge. Totalmente isolati e fuori da ogni possibilità di comunicazione, una volta addentrati nei due percorsi, gli unici che possono ricevere i nostri "messaggi" saranno solo i nostri compagni di camminata.

Ed è solo con loro che in quel momento si può contemplare la bellezza estrema che pochi occhi hanno potuto raccogliere.

Valle dell'Argentino

Valle dell'Esaro

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Da Viggianello a Pedarreto

11/4/2020

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Un altro sopralluogo per poter scoprire nuovi luoghi e tracce antiche. 

Quello che dal centro storico di Viggianello conduce a Piano di Mauro prima, e a scelta permette di raggiungere Serra di Mauro, per poi arrivare a Piano Pedarreto, è un percorso indicato su diverse carte con il codice 910 e 910A. Tuttavia è bene fare molta attenzione perché seppur nel primissimo tratto (circa i primi 2,5 Km) si segue agevolmente, nel tratto seguente fino alla Cresta di Mauro, prima dell'omonimo Piano, è sviluppato in un fitto tratto di arbusti tra ginestre, biancospino, rovi, prugnoli e diverse piste tracciate da bovini e animali selvatici, con una carente manutenzione che ne ha compromesso la tranquilla percorrenza.

Anche per questo, la volontà è diventata quella di seguire un itinerario alternativo (questo totalmente non segnato) per raggiungere la cresta, e riprendere da lì la direzione verso la Serra di Mauro con i suoi 1.579 m di quota e il punto trigonometrico a riferimento dell'IGM. 
Oltre il panorama su tutta la Valle del Mercure, è interessante la prospettiva differente rispetto ad altri itinerari già percorsi in passato. 

Da Serra di Mauro discendere verso Piano Pedarreto è più semplice, e volendo si potrebbe proseguire in quota fino al Grattaculo, magari da fare per una prossima volta. Il sentiero 910A è quello che collegherebbe Serra di Mauro con il 910 che ufficialmente risale dal Piano di Mauro, e che noi volutamente abbiamo lasciato per poter seguire il percorso di cresta. Da lì, una volta incrociato facendo attenzione ad imboccare la giusta pista, si discende entrando in un bosco molto particolare, contraddistinto nella prima parte da un misto di quercia, carpino e faggio, per poi passare alla faggeta pura con un ambiente poco intaccato dall'uomo ma non dagli animali al pascolo.

Si supera il Fosso di Mauro, già in prossimità di Piano Pedarreto, e si prosegue facendo attenzione alle varie bandierine presenti, che conducono a superare tutto il pianoro per poter raggiungere il Rifugio Fasanelli da Nord-Est. 

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    Sono sempre stato un appassionato di escursionismo e ho sempre sfruttato ogni momento disponibile per poter girovagare sulle montagne vicino casa.
    Oggi mi ritengo uno dei fortunati che è riuscito a fare della sua passione un mestiere. Qui racconterò alcune delle meravigliose esperienze vissute nell'area protetta più grande d'Italia
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