(Già al pensiero della prossima volta)
Arriviamo nel tardo pomeriggio ad Assergi dove prendiamo possesso della stanza e abbiamo modo di fare una piccola passeggiata nella frazione un tempo fortificata. Osserviamo i danni del terremoto del 2009: ancora tanto è da ricostruire, sono passati 14 anni. Con un po' di pensieri ci organizziamo per la cena e rientriamo in struttura. Domenico si mette ai fornelli e i risultati si concretizzano in un ottimo e abbondante piatto di pasta, pietanza giusta per fornire le energie del giorno dopo.
L'emozione per la giornata successiva è tanta e per sicurezza controlliamo nuovamente la cartina ripetendo le tappe e i codici dei sentieri da intraprendere, "Non si sa mai" afferma qualcuno. La distanza dell'itinerario effettivamente, per le nostre abitudini è poca, ma è il tratto finale quello che probabilmente potrebbe rappresentare la difficoltà più grande, oltre che il fondo. Sentieri rocciosi che si discostano abbastanza dai sentieri del Pollino di casa.
Tra le tante emozioni c'è anche quella tensione che compare prima dei momenti più importanti che ognuno di noi deve affrontare, quella vocina che inizia a dire in testa "oh, stavolta non puoi sbagliare". Quella che serve per non essere troppo sicuri e mantenere anche il giusto approccio. I presupposti per riuscire ci sono tutti, ma è sempre la montagna che alla fine decide.
Praticamente andiamo a letto intorno alle 21.00 e all'inizio si fa anche un po' fatica a prendere sonno, ma la sveglia del giorno dopo ci aspetta alle 6.00; un'ultima controllata allo zaino e poi si prova a dormire.
E' giorno. Sveglia, colazione abbondante e si parte. Si entra in macchina ed inizia la prima parte dell'avvicinamento in auto: da Assergi fino a Campo Imperatore. Dopo gli ultimi alberi inizia lo spazio sconfinato dell'altopiano che, con la luce dell'alba diventa qualcosa di indescrivibile. Già solo questa vista dà una carica maggiore al nostro spirito. Io osservo quegli spazi sterminati attraversati da una strada che sembra anch'essa infinita, e i miei pensieri si fermano; ho solo la capacità di osservare e sorridere. Una leggera nebbia copre i pianori sottostanti e un paio di soste per le foto sono d'obbligo; così come una sosta diventa immediata appena dopo l'ennesima curva, dopo la quale appare davanti ai nostri occhi il grande complesso roccioso del Gran Sasso, un blocco di roccia impressionante, un grande dente che dal terreno si staglia verso l'alto fino a quasi 3.000 m di quota. Si rimarrebbe lì senza pensare ai minuti che passano, ma un paio di auto che sfrecciano per raggiungere il punto di partenza nei pressi dell'Osservatorio di Campo Imperatore ci ricordano che dobbiamo avviarci anche noi, il resto lo ammireremo in cammino.
Si sale imboccando il sentiero N.101 che manteniamo fino a Sella di Monte Aquila a 2.335 m risalendo un primo tratto non molto difficoltoso che permette di avere di fronte a noi il Corno Grande, a destra Monte Aquila 2.495 e a sinistra il Campo Pericoli, una grande conca circondata da altre cime, che è collegata fino alla Val Maone che prosegue fino a Prati di Tivo, esattamente dalla parte opposta rispetto al nostro punto di partenza. Il paesaggio è quello delle praterie di alta quota e delle grandi rupi di roccia. Non è un panorama a cui siamo abituati e io personalmente ammiro angolo dopo angolo questo nuovo "pezzo di mondo".
Proseguiamo e al bivio pieghiamo a sinistra, sul sentiero N.103 per poi superare l'incrocio con il ritrovato N.101 verso il Rifugio Garibaldi, e il Campo Pericoli, tenendo la destra e risalendo a 2.482 sul brecciolino che conduce alla Sella del Brecciaio. Qui un gran regalo compare davanti ai miei occhi: un bellissimo e vicinissimo esemplare di Camoscio appenninico mi attraversa il sentiero. Subito avviso Marco e Domenico facendo gesti strani per evitare di parlare e spaventarlo, ma il camoscio viste le persone dietro di me decide di tornare indietro e scomparire tra le rocce. Una volta su con gli altri, decidiamo di fare una pausa, e proprio in quel momento ecco ricomparire il camoscio che riprova a fare lo stesso esatto giro, trovando ancora una volta noi sul suo passo. Mi siedo su una roccia e a tratti alterni, inizio a fotografarlo e a godermi lo spettacolo tra una foto e l'altra; ad un certo punto sembra quasi venire verso di me per poi "pentirsi" del gesto e ritornare a scomparire nel dirupo che invece noi ci lasciamo alle spalle risalendo, ignorando l'incrocio con il sentiero N.150 (la Via Ferrata Brizio).
Scavallato il nuovo dislivello ci troviamo di fronte a sinistra il bellissimo Corno Piccolo, e a destra il sentiero che prosegue verso la nostra meta. Dopo poco si presenta l'opportunità di deviare sul sentiero N.154A, quello della cosiddetta Cresta Ovest, ma rimaniamo fermi quando qualcuno di noi dice "Eh no, la prima volta dobbiamo farlo dalla Normale, poi facciamo il resto!". Ci convinciamo di questo e proseguiamo lungo il sentiero fino al nuovo bivio, piegando verso destra sul Sentiero N.154 appunto tramite la Via Normale. E a me tanto "normale" non sembra abituato alle "normali" delle nostre cime. Alzando lo sguardo osservo la fila degli escursionisti che ad un tratto prosegue praticamente in linea retta, verticalmente verso l'alto. Dallo sviluppo del sentiero avevo notato una risalita importante delle curve di livello, ma non mi aspettavo certo in quel modo. Bene, faremo anche questa penso tra me, mentre guardo gli altri che intanto tra una battuta e l'altra diventano come me, sempre più emozionati per la vicinanza con la cima.
L'ultimo tratto è diverso dal "camminare" su un sentiero: è meglio usare le mani (per molti è praticamente obbligatorio a meno che non si possiede tonicità, forza ed equilibrio da veri e propri fuoriclasse alpinistici), si deve fare più attenzione a dove poggiare i piedi, e lo sforzo fisico è più completo. Ma è tutto meraviglioso. Man mano che si sale la pendenza cresce e di pari passo il panorama. Salendo, roccia dopo roccia, ed escursionista dopo escursionista (ce ne sono diversi essendo sabato)
sbuchiamo fuori di fronte il Ghiacciaio del Calderone, la Vetta Orientale 2.903 m e la Vetta Centrale 2.893 m due stupendi denti di roccia.
Ormai ci siamo. Ci guardiamo soddisfatti, aggiriamo gli ultimi residui del crinale ed ecco apparire la Croce di Vetta e gli ultimi bolli bianchi e rossi che hanno contraddistinto questo ultimo tratto di percorso su roccia. Siamo su. Lo sguardo si estende in tutte le direzioni e si vedono montagne, paesi, colline, fino alle nuvole lontane dove c'è il mare. Tocco la cima, come di rito. Osservo intorno e penso che non potevo non raggiungere quel luogo almeno una volta. Mi godo gli attimi e dopodiché ci complimentiamo l'un l'altro prima di attendere il nostro turno per la foto di rito, e al contrario di tutti gli altri "ancorati" alla cima, ci spostiamo su un settore adiacente molto più comodo dove consumare il nostro pranzo; sono circa le 11.10 del mattino del 7 ottobre 2023 e siamo sul tetto dell'Appennino, Corno Grande, Cima Occidentale 2.912 m di quota.
Rimaniamo quasi un'ora nella meraviglie lassù. A malincuore come sempre ci avviamo per il rientro. Il percorso è il medesimo al contrario, almeno fino alla Sella di Monte Aquila. Lungo il tragitto di rientro riusciamo ad ammirare meglio con il cambio di luce il Corno Piccolo e un branco di camosci che pascola sotto di noi.
Arrivati alla Sella decidiamo di procedere sul sentiero N.161 passare dalla cima di Pizzo Confalonieri 2.422 m e ristorarci presso il Rifugio Duca degli Abruzzi a 2388 m, costruito nel 1908 dalla Sezione del Club Alpino Italiano di Roma. Il vento che ci ha accompagnato per buona parte del percorso tranne che sull'ultimo tratto della cima ritorna mentre ci riposiamo seduti ad uno dei tavolini all'esterno con veduta panoramica verso sud.
Terminiamo l'ultimo tratto scendendo e raggiungendo l'auto nel parcheggio dell'Hotel di Campo Imperatore. Ce l'abbiamo fatta. Assonnati più che stanchi, e felici mentre rientriamo, iniziamo ad osservare il Corno Grande da lontano consapevoli di essere stati lì sulla cima.
Ad escursione terminata certamente penso abbia una difficoltà importante, ma che non è tanto nella combinazione lunghezza/dislivello quanto più nella capacità di sapersi muovere su roccia nell'ultimo tratto in particolare. I panorami sono fantastici e si vive un'atmosfera che ti permette di percepire la grandezza e la vastità della montagna appenninica. La prossima è già segnata: direttissima al Corno Grande.
La cena ci attende, e tra le pietanze per tutti e tre ovviamente compaiono gli arrosticini. Non mangiarli equivarrebbe a non essere stati sul Corno Grande! Una volta finita la cena al ristorante "Al Borgo", con un buon rapporto qualità-prezzo, ritorniamo alla struttura e andiamo a dormire con la stessa sveglia per il giorno dopo.
La sveglia è nuovamente alle 6.00, anche se questa volta ce la prendiamo un pò più comoda, avendo visto il percorso essere poco più di 8 Km e anche in questo caso con un maggiore dislivello nell'ultimo chilometro.
Arriviamo sempre in prossimità dell'Osservatorio e ci incamminiamo sul sentiero 100E fino a Passo del Lupo a 2.156 m di quota. Questa volta, seppur mantenendoci in leggera salita, intraprendendo il sentiero 102, la nostra sinistra è molto più esposta e tale rimarra praticamente fin poco sotto la cima di Pizzo Cefalone. Arriviamo fino al Passo della Portella a 2.260 m mentre osserviamo dalla parte opposta rispetto al giorno precedente, il maestoso Corno Grande e tutta l'area sottostante: uno spettacolo assoluto. L'itinerario cambia ancora mantenendo la sinistra sul sentiero 111 e tralasciando la nuova deviazione a destra. Proseguiamo passando sotto l'anticima, per poi iniziare la salita: inizialmente abbastanza marcata, fino a mettere da parte i bastoncini e proseguire con l'uso di mani e piedi in qualche semplice passaggio di arrampicata fino ad arrivare alle due croci della cima di Pizzo Cefalone 2.533 m, con un ultimo tratto molto divertente e leggermente più tecnico del resto del percorso. Un'altra cima da cui osservare una serie di panorami meravigliosi, con questa volta a Nord-Est il Corno Piccolo e il Corno Grande a fare da sfondo.
Proviamo il rientro dal sentiero 147 per compiere un anello, ma dopo i primi cento metri o poco più, ci rendiamo conto che la discesa è un po' più complessa del previsto e decidiamo di ritornare dallo stesso itinerario dell'andata. Altro percorso da fare al nostro ritorno sarà Pizzo Cefalone con l'anello in senso antiorario.
Rientriamo così ripercorrendo a ritroso il percorso. E prima un camoscio che osserviamo leggero e sicuro saltare e correre via dalla presenza degli escursionisti tra dirupi e ghiaioni, e poi un bel branco a riposo sotto il crinale del rientro, sono gli ultimi regali di questi due giorni del Gran Sasso. Gli occhi pieni e lo spirito sicuramente rinfrancato da montagna e natura incontrastata.
Si, alla fine altro giro di arrosticini per tutti!
In mente già i prossimi itinerari nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga.